sabato 22 settembre 2012

In un mondo tutto mio



Cosa ci vuole per raccontare una bella storia?

Quesito di difficile risposta, soprattutto perché una storia si può raccontare in diversi modi, avvalendosi di infiniti strumenti e modalità.

Cosa rende una storia speciale?
Altro mistero insolubile.

<<L’intreccio!>>

Risponderebbe qualcuno, riferendosi all’incredibile magia che porta un ingarbugliato groviglio di destini ed eventi disparati a dipanarsi ordinatamente (o caoticamente) in un unico disegno.

<<I personaggi!>>
Ribatterebbe un altro,  pensando alle emozioni dovute ad un individuo nato nella mente di chissà chi e chissà quando e partorito su pagine di carta o sullo schermo retroilluminato di un computer.

La verità è che l’unica sicurezza che possediamo è che ci sono delle storie che ci piacciono; ci sono protagonisti che ci emozionano; ci sono storie che, pur non parlando di noi, ci capiscono; ci sono personaggi che, pur non avendo mai incontrato realmente, ci sembra di conoscere.
I Kill Giants
Joe Kelly (sceneggiatura), J. M. Ken Niimura (disegni)
Edizione Originale: http://www.imagecomics.com/comics/1938/I-Kill-Giants
Edizione Italiana: Volume unico Bao Publishing , traduzione a cura di Caterina Marietti, € 15,00


Joseph "Joe" Kelly, sceneggiatore americano fra i fondatori del gruppo conosciuto come Man of Action, di storie simili ne ha narrate tante, spaziando anche abbastanza bene tra diversi generi ma mantenendo sempre un occhio di riguardo per il pubblico di riferimento dei fumetti di supereroi e, in generale, per i ragazzi. Fra le sue ultime fatiche si può annoverare una serie a fumetti composta di sette numeri e raccolta successivamente in volume unico, disegnata da J. M. Ken Niimura e prodotta dalla Image Comics, intitolata
I Kill Giants”. La particolarità di questa storia è quella muoversi, con una grazia non comune, nell’ambito di una difficile vicenda interiore che ha come protagonista una giovane ragazza all’ultimo anno dell’elementari.
Barbara Thorson è una ragazzina che usa la sua notevole immaginazione per sfuggire agli orrori di una realtà dolorosa; incapace di socializzare, introversa e spesso aggressiva, decide di chiudersi nel suo mondo fantastico per sopravvivere. Inaspettatamente sarà la stessa fantasia a scuoterla e a spronarla tanto da farle affrontare le avversità senza più nascondersi.
Avvalendosi di un cast di personaggi prevalentemente femminile, Kelly scandaglia le paure della sua protagonista usando l’immaginazione come un’arma: potenzialmente infinita, presente ma mai invadente, avvolgente e onnipresente, la fantasia è l’unica cosa di cui Barbara si fida completamente, ed è anche quindi il primo mezzo per ritrarre la ricca varietà emozionale di un individuo così giovane e non ancora completamente autodefinito.
Rappresentare una ragazza senza aver paura di usare il suo linguaggio, è questa la forza di “I Kill Giants”, che non si vergogna della sua natura a partire dalla copertina e dai disegni che specchiano fedelmente le medesime intenzioni.  Niimura fa uso di uno stile che manifesta una buona conoscenza della tradizione giapponese per il fumetto di stampo adolescenziale: con figure semplici magari dotate di pochi connotati distintivi memorizzabili, una divisione della tavola intuitiva e tutta una serie di accorgimento grafici utili ad impreziosire pagine altrimenti anonime o a non appesantire la lettura.
L’impegno manifesto di rendere questo albo equilibrato e  tarato anche per un pubblico più giovane, magari inesperto di fumetto, non va sottovalutato.  Difficile per un adulto possedere un’elasticità di pensiero tale da riuscire a ricreare, in maniera credibile, i pensieri e i comportamenti di una persona anagraficamente così distante da lui; difficile, soprattutto, narrare tutto questo in modo tale da risultare facilmente digeribile ad un pubblico diversificato, senza rinchiudersi nella propria nicchia di genere.

Ma, forse, è proprio la fantasia la chiave di tutto. Quando è riversata in grandi quantità e lasciata libera di correre, la fantasia appassiona grandi e piccini in egual maniera, ed è triste rilevare che nel panorama attuale (sia cinematografico che televisivo, ma anche letterario e fumettistico) ossessionato dalla brama di realismo e cinismo a tutti i costi, c’è sempre meno spazio per l’immaginazione propriamente detta.

Pensando a questo, mentre leggevo “I Kill Giants”, mi è tornata alla mente un’altra serie a fumetti, questa volta pubblicata dall’etichetta Vertigo, scritta da Grant Morrison e disegnata da Sean Murphy, intitolataJoe The Barbarian”.

Joe the Barbarian
Grant Morrison (sceneggiatura), Sean Murphy (disegni)
Edizione Originale: http://www.vertigocomics.com/blog/2011/09/15/joe-the-barbarian-deluxe-edition
Edizione Italiana: Volume unico Planeta DeAgostini, traduzione a cura di Michele Foschini, € 16,95

Anche in questo caso abbiamo un protagonista adolescente alle prese con una situazione complicata che si trova  immerso (questa volta per colpa di una crisi ipoglicemica!)  in un’impresa che vede  la realtà fondersi in maniera indistinguibile con l’immaginazione. Pur con le dovute differenze  (nella serie Vertigo l’odissea del ragazzo nel mondo della fantasia popolato dai suoi giocattoli occupa gran parte della storia mentre nel fumetto di Kelly e Niimura la vicenda è concentrata nella quotidianità) Joe the Barbarian e I Kill Giants condividono una conclusione simile, in cui la fantasia aiuta il protagonista a venire a capo delle sue difficoltà, e soprattutto, entrambe le opere condividono il rispetto e l’amore per le realtà alternative forgiate dall’immaginazione.
Alla luce di questo e ripensando alle domande poste inizialmente (cosa ci vuole per raccontare una grande storia? Cosa rende una storia speciale?) mi viene da pensare che il comune denominatore fra le belle storie, di qualunque natura esse siano, sia quello di riuscire a raccontare un po’ di noi servendosi degli infiniti mondi potenzialmente esplorabili dalla nostra mente.

<<Joe? Oh mio Dio cosa è successo? Dove sei stato?>>
<<In un mondo tutto mio>>

venerdì 23 marzo 2012

L'Approdo di Shaun Tan


L'Approdo più che un romanzo grafico è una raffinata lezione di fumetto.

Aggiungere altro è superfluo, perchè nessuna descrizione è capace di rendere giustizia alla grazia di questo racconto.
Il viaggio di un emigrante in una nuova terra, il senso di disagio, la curiosità nei confronti del nuovo, la peculiarità dell'esotico, l'opportunità del diverso, le difficoltà, la nostalgia per i tuoi affetti, la felicità data dal condividere. Tutte queste esperienze sono rappresentate in centoventotto tavole sospese tra il fascino del surreale, la certosina cura del dettaglio e una sensibilità artistica assolutamente fuori scala.
Non servono parole a Shaun Tan per rapire il suo lettore o per farlo ridere, non gli servono nemmeno per commuoverlo nè per lasciarlo senza fiato. Non gli servono parole perchè è dotato della capacità più agognata nel suo campo: quella di saper raccontare per immagini.

Giù il cappello.


domenica 18 marzo 2012

I Figli Di Medusa


Ammetto che il titolo originale di quest'opera firmata Theodore Sturgeon (The Cosmic Rape, 1958, New York: Pocket Books -1977 ) è decisamente più suggestivo ma, per i non anglofoni, il libro da cercare è "I Figli di Medusa" (2004 Urania Collezione 018, Arnoldo Mondadori Editore).


I lettori di fantascienza (a pari merito con quelli di fantasy, qualunque cosa voglia indicare questa definizione) solitamente sono i primi a ghettizzarsi e a limitare (perchè il verbo selezionare sarebbe decisamente usato in maniera impropria in questo caso) le proprie letture: chiusi nella loro prigione dorata disdegnano ogni tipo di vicenda non legata al loro genere di riferimento, felici di ammucchiare volumi (spesso superflui, spesso lambiccati, a volte decisamente futili) buoni unicamente ad alimentare un gioco virtuale tra tutti gli altri "fan" sparsi per il globo incentrato sugli scambi di citazionismo sterile: 'E questo lo conosci?   ...Ahhhhh non sai cosa ti sei perso!'

Considerando questo non è difficile arrivare a capire da dove provenga l'immagine dell'appassionato medio di science fiction, riconosciuto comunemente nella figura di un nerd sfigato, moderatamente autistico e dalla prolungata astinenza sessuale. Fatto decisamente paradossale se teniamo conto dell'impegno profuso dai grandi interpreti di questo genere nello sfondare le barriere comunicative e i confini di settore. Chi ha saputo distinguersi nella fantascienza ha soventemente fatto uso della stessa come mezzo espressivo per comunicare le angosce del presente e le paure nei confronti del domani, o anche per cercare di descrivere, libero dai vincoli del reale, la natura dell'uomo.
Sturgeon è uno di questi scrittori e The Cosmic Rape ne è un'evidente dimostrazione.

Il tema dell'incomunicabilità tra le persone è sviluppato con
notevole originalità in questo romanzo breve che fa della simbiosi tra Gurlick, barbone scontroso e alcolizzato, e un'entità aliena senziente (la Medusa del titolo) il suo motore narrativo. Lo spunto è usato come pretesto per descrivere le difficoltà delle relazioni interpersonali e le incoerenze comportamentali:
"Nonostante tutta l'abilità nel lavorare di concerto con i suoi simili e nel creare una relazione con le loro vibrazioni, l'uomo rimane isolato: nessuno sa esattamente cosa sentono gli altri. L'acme delle sue sensazioni si avvicina all'incoscienza...ma incoscienza di che cosa? Di tutto quello che lo circonda, mai di sé."
Giocando con i punti di vista e alternando una nutrita schiera di personaggi  Sturgeon viviseziona certosinamente il funzionamento dell'inconscio umano in una narrrazione decisamente coraggiosa che niente concede alla spettacolarità e alla faciloneria. Nella somma finale forse l'autore non riesce a bilanciare pienamente tutte le diverse parti e, oltretutto, pagando un debito nei confronti del suo tempo e delle tendenze "flower power" anni sessanta, l'epilogo può lasciare delusi tutti gli amanti delle conclusioni dal sapore amaro.
Nonostante questo ci si trova di fronte ad una pagina di fantascienza conscia, decisamente umana, non pretenziosa ma nemmeno riciclata. Un libro genuino, capace di darsi in pasto a qualunque lettore a testa alta e degno di fare bella mostra di sé in qualsiasi libreria.

Perchè la letteratura (di qualunque tipo) dovrebbe aiutare a togliere i paraocchi e non fornirne di più sofisticati: non siete d'accordo?





domenica 11 marzo 2012

domenica 4 marzo 2012

My Greatest Adventure

Leggendo un interessante articolo pubblicato su Conversazioni sul fumetto riguardante la carenza, al giorno d'oggi, di storie cartacee di Avventura pura, fine a se stessa, ho trovato lo spunto giusto per scrivere questo mio primo post di apertura sul blog.
La brama di vicende avventurose è riconducibile al desiderio escapista presente in ogni lettore. Il bisogno primario è quello di essere sollazzati da un vortice di avvenimenti, se non coerenti quantomeno originali, utile a farci dimenticare temporaneamente le sozzure del quotidiano. Perchè, se è vero che non è obbligatoriamente compito di una storia farsi amare ad ogni costo, è anche vero che in certi casi abbandonarsi ad una serie di eventi appassionanti, magari prima di assopirsi, è l'unica cosa di cui la nostra categoria sente realmente il bisogno. Oggi questo proposito non è facilmente attuabile soprattutto se non si è disposti a cadere preda di una smodata serialità, un elevato citazionismo, un consequenziale senso di déjà vu e/o un elevato tasso di puzza sotto il naso. Sembra che raccontare avventure sia diventato un esercizio infantile e, non a caso, il settore dedicato all'infanzia è spesso quello che mi ospita più frequentemente durante i miei pellegrinaggi in libreria.


Ma, rinunciando ad ogni intento polemico, ritengo sia più utile pubblicizzare quelle opere capaci ancora di intrattenere senza tante pretese, grazie a colpi di fantasia e inventiva: opere come Aventurier 






 Aventurier è un fumetto di Christophe Kourita, edito in Italia da Ronin Manga, composto da una raccolta di storie brevi di stampo avventuroso. 
Kourita descrive, con uno stile ibrido che pesca in parti uguali dal mondo dell'animazione giapponese e dalla tradizione fumettistica francese, situazioni fantastiche dallo sviluppo repentino, dense di eventi inaspettati e colpi di scena, alternando un'invidiabile varietà di tipologie di protagonisti e di ambientazioni.
La sete di pericolo tipica di autori come Salgari, si mescola con stravaganti macchine degne della penna di Jules Verne o con impressionanti mezzi volanti che niente hanno da invidiare a quelli di Miyazaki.
La brevità delle pagine a disposizione è sfruttata come un vero e proprio vantaggio: le vicende sono sviluppate in maniera esaustiva e, contemporaneamente, risultano scevre da ogni possibile orpello e momento di sosta: si passa quindi da seguire la sorte di due aviatori intrappolati in uno sperduto deserto, ad assistere al triste destino di bambini impiegati come soldati in una guerra infinita, per poi abbandonarci al panorama lussureggiante di una misteriosa isola e via dicendo.
La narrazione è veloce, incisiva e, soprattutto mai noiosa. Si ride, si piange, senza mai avere l'impressione di venire indottrinati o guidati. Ci si appassiona ai protagonisti nel giro di poche tavole grazie alla loro caratterizzazione credibile e mai esagerata.

In sintesi ci troviamo davanti ad un safari di
fantasticherie, ben narrato e
adeguatamente disegnato.

Perchè pretendere altro?