Cosa ci vuole per raccontare una bella storia?
Quesito di difficile risposta, soprattutto perché una storia si può raccontare in diversi modi, avvalendosi di infiniti strumenti e modalità.
Cosa rende una storia speciale?
Altro mistero insolubile.
Quesito di difficile risposta, soprattutto perché una storia si può raccontare in diversi modi, avvalendosi di infiniti strumenti e modalità.
Cosa rende una storia speciale?
Altro mistero insolubile.
<<L’intreccio!>>
Risponderebbe qualcuno, riferendosi all’incredibile magia che porta un ingarbugliato groviglio di destini ed eventi disparati a dipanarsi ordinatamente (o caoticamente) in un unico disegno.
<<I personaggi!>>
Ribatterebbe un altro, pensando alle emozioni dovute ad un individuo
nato nella mente di chissà chi e chissà quando e partorito su pagine di carta o
sullo schermo retroilluminato di un computer.
La verità è che l’unica sicurezza che possediamo è che ci
sono delle storie che ci piacciono; ci sono protagonisti che ci emozionano; ci
sono storie che, pur non parlando di noi, ci capiscono; ci sono personaggi che,
pur non avendo mai incontrato realmente, ci sembra di conoscere.
Joe Kelly (sceneggiatura), J. M. Ken Niimura (disegni)
Edizione Originale: http://www.imagecomics.com/comics/1938/I-Kill-Giants
Edizione Italiana: Volume unico Bao Publishing , traduzione a cura di Caterina Marietti, € 15,00
Joseph
"Joe" Kelly, sceneggiatore americano fra i fondatori del gruppo
conosciuto come Man of Action, di storie
simili ne ha narrate tante, spaziando anche abbastanza bene tra diversi generi
ma mantenendo sempre un occhio di riguardo per il pubblico di riferimento dei
fumetti di supereroi e, in generale, per i ragazzi. Fra le sue ultime fatiche si
può annoverare una serie a fumetti composta di sette numeri e raccolta
successivamente in volume unico, disegnata da J. M. Ken Niimura e prodotta
dalla Image Comics, intitolata
“I Kill Giants”. La particolarità di questa storia è quella muoversi, con una grazia non comune, nell’ambito di una difficile vicenda interiore che ha come protagonista una giovane ragazza all’ultimo anno dell’elementari.
Barbara Thorson è una ragazzina che usa la sua notevole immaginazione per sfuggire agli orrori di una realtà dolorosa; incapace di socializzare, introversa e spesso aggressiva, decide di chiudersi nel suo mondo fantastico per sopravvivere. Inaspettatamente sarà la stessa fantasia a scuoterla e a spronarla tanto da farle affrontare le avversità senza più nascondersi.
Avvalendosi di un cast di personaggi prevalentemente femminile, Kelly scandaglia le paure della sua protagonista usando l’immaginazione come un’arma: potenzialmente infinita, presente ma mai invadente, avvolgente e onnipresente, la fantasia è l’unica cosa di cui Barbara si fida completamente, ed è anche quindi il primo mezzo per ritrarre la ricca varietà emozionale di un individuo così giovane e non ancora completamente autodefinito.
Rappresentare una ragazza senza aver paura di usare il suo linguaggio, è questa la forza di “I Kill Giants”, che non si vergogna della sua natura a partire dalla copertina e dai disegni che specchiano fedelmente le medesime intenzioni. Niimura fa uso di uno stile che manifesta una buona conoscenza della tradizione giapponese per il fumetto di stampo adolescenziale: con figure semplici magari dotate di pochi connotati distintivi memorizzabili, una divisione della tavola intuitiva e tutta una serie di accorgimento grafici utili ad impreziosire pagine altrimenti anonime o a non appesantire la lettura.
L’impegno manifesto di rendere questo albo equilibrato e tarato anche per un pubblico più giovane, magari inesperto di fumetto, non va sottovalutato. Difficile per un adulto possedere un’elasticità di pensiero tale da riuscire a ricreare, in maniera credibile, i pensieri e i comportamenti di una persona anagraficamente così distante da lui; difficile, soprattutto, narrare tutto questo in modo tale da risultare facilmente digeribile ad un pubblico diversificato, senza rinchiudersi nella propria nicchia di genere.
“I Kill Giants”. La particolarità di questa storia è quella muoversi, con una grazia non comune, nell’ambito di una difficile vicenda interiore che ha come protagonista una giovane ragazza all’ultimo anno dell’elementari.
Barbara Thorson è una ragazzina che usa la sua notevole immaginazione per sfuggire agli orrori di una realtà dolorosa; incapace di socializzare, introversa e spesso aggressiva, decide di chiudersi nel suo mondo fantastico per sopravvivere. Inaspettatamente sarà la stessa fantasia a scuoterla e a spronarla tanto da farle affrontare le avversità senza più nascondersi.
Avvalendosi di un cast di personaggi prevalentemente femminile, Kelly scandaglia le paure della sua protagonista usando l’immaginazione come un’arma: potenzialmente infinita, presente ma mai invadente, avvolgente e onnipresente, la fantasia è l’unica cosa di cui Barbara si fida completamente, ed è anche quindi il primo mezzo per ritrarre la ricca varietà emozionale di un individuo così giovane e non ancora completamente autodefinito.
Rappresentare una ragazza senza aver paura di usare il suo linguaggio, è questa la forza di “I Kill Giants”, che non si vergogna della sua natura a partire dalla copertina e dai disegni che specchiano fedelmente le medesime intenzioni. Niimura fa uso di uno stile che manifesta una buona conoscenza della tradizione giapponese per il fumetto di stampo adolescenziale: con figure semplici magari dotate di pochi connotati distintivi memorizzabili, una divisione della tavola intuitiva e tutta una serie di accorgimento grafici utili ad impreziosire pagine altrimenti anonime o a non appesantire la lettura.
L’impegno manifesto di rendere questo albo equilibrato e tarato anche per un pubblico più giovane, magari inesperto di fumetto, non va sottovalutato. Difficile per un adulto possedere un’elasticità di pensiero tale da riuscire a ricreare, in maniera credibile, i pensieri e i comportamenti di una persona anagraficamente così distante da lui; difficile, soprattutto, narrare tutto questo in modo tale da risultare facilmente digeribile ad un pubblico diversificato, senza rinchiudersi nella propria nicchia di genere.
Ma, forse, è proprio la fantasia la chiave di tutto. Quando
è riversata in grandi quantità e lasciata libera di correre, la fantasia
appassiona grandi e piccini in egual maniera, ed è triste rilevare che nel
panorama attuale (sia cinematografico che televisivo, ma anche letterario e
fumettistico) ossessionato dalla brama di realismo e cinismo a tutti i costi, c’è
sempre meno spazio per l’immaginazione propriamente detta.
Pensando a questo, mentre leggevo “I Kill Giants”, mi è tornata alla mente un’altra serie a fumetti, questa volta pubblicata dall’etichetta Vertigo, scritta da Grant Morrison e disegnata da Sean Murphy, intitolata “Joe The Barbarian”.
Pensando a questo, mentre leggevo “I Kill Giants”, mi è tornata alla mente un’altra serie a fumetti, questa volta pubblicata dall’etichetta Vertigo, scritta da Grant Morrison e disegnata da Sean Murphy, intitolata “Joe The Barbarian”.
Joe the Barbarian
Grant Morrison (sceneggiatura), Sean Murphy (disegni)
Edizione Originale: http://www.vertigocomics.com/blog/2011/09/15/joe-the-barbarian-deluxe-edition
Edizione Italiana: Volume unico Planeta DeAgostini, traduzione a cura di Michele Foschini, € 16,95
Grant Morrison (sceneggiatura), Sean Murphy (disegni)
Edizione Originale: http://www.vertigocomics.com/blog/2011/09/15/joe-the-barbarian-deluxe-edition
Edizione Italiana: Volume unico Planeta DeAgostini, traduzione a cura di Michele Foschini, € 16,95
Anche in questo caso abbiamo un protagonista adolescente alle
prese con una situazione complicata che si trova immerso (questa volta per colpa di una crisi
ipoglicemica!) in un’impresa che vede la realtà fondersi in maniera indistinguibile
con l’immaginazione. Pur con le dovute differenze (nella serie Vertigo l’odissea del ragazzo
nel mondo della fantasia popolato dai suoi giocattoli occupa gran parte della
storia mentre nel fumetto di Kelly e Niimura la vicenda è concentrata nella quotidianità)
Joe the Barbarian e I Kill Giants condividono una conclusione simile, in cui la
fantasia aiuta il protagonista a venire a capo delle sue difficoltà, e
soprattutto, entrambe le opere condividono il rispetto e l’amore per le realtà alternative
forgiate dall’immaginazione.
Alla luce di questo e ripensando alle domande poste inizialmente (cosa ci vuole per raccontare una grande storia? Cosa rende una storia speciale?) mi viene da pensare che il comune denominatore fra le belle storie, di qualunque natura esse siano, sia quello di riuscire a raccontare un po’ di noi servendosi degli infiniti mondi potenzialmente esplorabili dalla nostra mente.
<<Joe? Oh mio Dio cosa è successo? Dove sei stato?>>
Alla luce di questo e ripensando alle domande poste inizialmente (cosa ci vuole per raccontare una grande storia? Cosa rende una storia speciale?) mi viene da pensare che il comune denominatore fra le belle storie, di qualunque natura esse siano, sia quello di riuscire a raccontare un po’ di noi servendosi degli infiniti mondi potenzialmente esplorabili dalla nostra mente.
<<Joe? Oh mio Dio cosa è successo? Dove sei stato?>>
<<In un mondo tutto mio>>